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ALTRI SENSI
di Lorenzo Giusti

Uno sguardo di superficie la ricerca di Laura Pugno potrebbe apparire circoscritta nel genere e nel soggetto. in realtà si tratta di un sistema assai complesso, aperto a una molteplicità di sviluppi e possibilità. alla base c’è la difficoltà a mettere a fuoco un’idea definita di paesaggio, un’idea sconfinata, che l’artista persegue da anni in maniera ostinata, con metodo e perseveranza. il solco è quello della pittura – a cui, storicamente, si fanno risalire le origini del concetto di paesaggio – ma i rivoli, le deviazioni, le ramificazioni sono le più varie e si estendono in una pluralità di campi di indagine. non è una ricerca dell’essenza, di ciò che può dirsi in nuce a ogni manifestazione del paesaggio, è piuttosto il contrario, è il tentativo di leggere sotto forma di paesaggio tutta la realtà, lo sforzo di guardare il mondo in maniera dischiusa, adottando non uno, ma molteplici punti di vista. un’idea nella quale convergono questioni di natura fisica, fattori antropici e ragioni culturali, e che, come tale, concentra su di sé tutta la complessità del pensiero sistemico, ma senza compiacersene.

 

Percorre

Dopo una fase iniziale, legata a problemi più di rappresentazione che di concetto – ad esempio, nella serie KWh (2007), raccontare il peso di certi manufatti, le dighe nello specifico, in relazione alle diverse componenti del paesaggio – il lavoro di Laura Pugno è andato incontro a una svolta con la serie Percorrenze (2008-2010), un gruppo di collage realizzati con carte di vario genere, spray e pennarelli, nei quali il colore sfugge ai confini del quadro per invadere la cornice e, talvolta, anche la parete. È in queste opere che l’indagine sul paesaggio, fino a quel momento scaturita da tentativi di immedesimazione, ha cominciato a mettere in discussione le sue stesse ragioni. È emersa come ingannevole – così ha scritto l’artista – “la reversibilità tra paesaggio contemplato e paesaggio interiore; l’illusione di identificarsi con il paesaggio.” ai problemi di visione e descrizione se ne sono affiancati altri, di carattere preliminare: fino a che punto è possibile restringere il concetto di paesaggio? Quali sono gli elementi minimi che ne attestano l’esistenza? La stessa idea del paesaggio come soggetto dell’opera è stata smontata e ricostruita sulla base di principi basilari. il risultato di questo nuovo interrogarsi è una sintesi radicale, una stratificazione di linee e di colori ottenuta attraverso la rinuncia alla rappresentazione di elementi complessi, come la morfologia, la massa, le tonalità. una volta smantellati i costrutti conosciuti, una certa idea di paesaggio è sembrata riemergere dalla sua stessa negazione.

 

Esitare

L’esperienza del collage ha aperto una nuova stagione, fondata su pochi ma significativi principi: nessun attaccamento a definizioni precostituite, ma lo sforzo di riformulare ogni giorno una propria idea, con variazioni talvolta minime, talvolta radicali; nessuna ipotesi maggiore di cui fare verifica, ma un continuo rimettere in discussione teorie e presupposti, seguendo percorsi variabili; nessuna strategia predeterminata, ma la libertà di cambiare metodi e strumenti, tecniche e procedimenti, in relazione ai diversi contesti. Con questi disorientamenti è nata la serie Esitando (2011), un gruppo di abrasioni su stampa fotografica concepite come “prove dirette ad attenuare la cogenza integrativa del paesaggio.” al lavoro di costruzione per strati minimi del collage, si è sostituito, in queste opere, un processo di decostruzione del paesaggio come elemento dato, compiuto attraverso l’erosione di parti del supporto cartaceo stampato e la simultanea distribuzione sulla superficie del pigmento estratto. Pur trattandosi di fotografia, tanto il procedimento utilizzato quanto l’esito sono pittorici. il dato visivo viene qui sfumato, reso indefinito, più denso in alcune parti, quasi invisibile in altre. È un dato che da fotografico si fa pittorico, che da istantaneo si fa di memoria. una memoria pittorica del paesaggio, pittorica e “sublime,” come nella migliore tradizione romantica.(1)

 

Sconfinare

Esitando è il primo di un insieme di lavori contraddistinti dall’utilizzo dalla tecnica dell’abrasione. Del gruppo fanno parte anche Cosa-in-sé e Quel che Annibale non vide (2012), due serie che sfruttano il potenziale del bordo fotografico – di cui nel quadro rimane una traccia mini- ma, corroso com’è dal processo di raschiatura e cancellazione – per riflettere sui limiti della visione. rompere la cornice, abbattere il margine che inquadra la visione del paesaggio, sconfinare, non c’è altro modo, se non questo, per cogliere, nello stesso limite, il senso dell’oltre.
Ogni idea di paesaggio porta con sé dei contorni che sono come limiti di un quadro. Come nella Condizione umana (1933), il celebre dipinto di Magritte, il paesaggio non è altro che un gioco di cornici. Superatauna cornice, subito una nuova ci si prospetta davanti. Siamo noi stessi a crearla, ogni volta attivamente. Limiti, cornici e contorni hanno in comune la proprietà di procurarci la visione distinta di un dentro e di un fuori. Per dirla con Bateson, restare dentro la cornice significa sviluppare “un certo tipo di ragionamento;” sconfinare, superare la cornice del quadro, il limite del paesaggio, significa sperimentare la “continuità indistinta di tutte le cose,” gli oggetti che percepiamo, i contesti sociali in cui viviamo, i nostri stessi pensieri. un’esperienza vertiginosa. il paradosso è che, come la cornice ci protegge dalla vertigine, è sempre la cornice a consentirci di farne esperienza. (2)

 

Immaginare

Sulla via della forma è il titolo di una nuova serie di abrasioni realizzate nell’estate del 2013, in previsione della mostra al Museo Man, nata dalla frequentazione dell’entroterra sardo. non è un caso che, chiamata a realizzare un progetto nell’isola, tra tutti i paesaggi possibili, Laura Pugno abbia scelto proprio il massiccio del Corrasi, la cima più alta del Supramonte. La ragione non è tanto da individuare nella confidenza che l’artista ha con la montagna, nella sua frequentazione di valichi e scarpate, quanto piuttosto nella volontà di raccontare l’altro volto della Sardegna. i grandi bastioni pietrosi dei monti di Oliena, alternati ai profondi canyon, ai picchi rocciosi che si stagliano verso il cielo, l’ambiente spoglio, con i pianori carsici, le voragini, i pinnacoli dalle forme più strane, costituiscono un’alternativa all’immagine più nota dell’isola, quella venduta ai turisti dagli operatori del settore, costruita attorno a una parte limitata e convenzionale dei suoi elementi naturali e sociali: il mare, la spiaggia, il sole, la tranquillità, il benessere, il divertimento. a motivazioni di carattere generale si sommano, in questi lavori, ragioni specifiche, tese a mettere in evidenza le basi culturali che fondano ogni possibile idea di paesaggio e a rimarcare l’inattendibilità di ogni immaginario acquisito. nel paesaggio convivono sempre immagini date, immagini assimilate e nuove immagini percepite. Vedere il paesaggio significa immaginarlo sempre nuovamente.

Toccare

nel senso comune la percezione del paesaggio passa attraverso la vista. Ma quale genere di vista, quale tipo di visione è necessario attivare per conoscere il paesaggio? È su questo quesito che si fondano i lavori più recenti, nati dalla riflessione sulle teorie di Empedocle, secondo cui, all’origine del mondo, non esistevano corpi compatti, ma membra sparse, ciascuna dotata di vita e in continuo movimento. un occhio errante
– questa la suggestione – capace di cambiare costantemente posizione e prospettiva, non è semplicemente un organo vedente, è un elemento percettivo, operante in maniera più tattile che visiva. Del resto secondo Aristotele in origine era il tatto, non la vista, il carattere dominante, l’elemento basilare della conoscenza. Così nei Taccuini di viaggio (2013) la scomposizione in parti del paesaggio, ancora una volta a partire da una stampa fotografica, è subordinata alla presenza, sotto traccia, di un testo in braille. Si sottraggono elementi del paesaggio nel momento in cui si fanno emergere alla vista i rilievi di una scrittura indecifrabile se non al tatto. È un sistema che vive di contraddizioni, misterioso per il cieco come per il vedente. È il paradosso dell’apprendimento, che, come la natura nella sua evoluzione, possiede una componente selettiva, conservativa, ed una casuale, creativa, che prelude al cambiamento e rende instabile ogni tipo di conoscenza.

Sentire

in Didascalie n. 5 (2013) il paradosso della visione tattile è portato alle estreme conseguenze. Se i Taccuini di viaggio ne costituiscono un’esperienza, questi ultimi lavori ne enucleano la teoria. Due fogli aperti, scritti in braille, sono mostrati uno sopra l’altro. il primo pre- senta delle parti evidenziate, il secondo delle macchie indefinite, ottenute facendo ruotare sulla superficie una sfera imbevuta di colore. L’evidenziazione del braille è un’operazione insensata, inefficace, una ricerca del punto d’incontro tra visione e contatto del tutto priva di coordinate, persa in un tempo e in uno spazio immateriali. il vagare della sfera sul piano replica invece il movimento dell’occhio primordiale, il suo perlustrare l’ambiente in maniera accidentale, indefinita. È una forma di visione, di lettura del paesaggio, che costituisce al contempo una modalità di scrittura. Vedere toccando, toccare vedendo, leggere e scrivere contemporaneamente, in altre parole “sentire,” non con l’udito, ma con tutti i sensi, gli “altri sensi” che, insieme alla vista, creano e interpretano il paesaggio. i lavori di Laura Pugno sono strumenti per interrogare noi stessi sulle infinite verità che la nostra “operosa cecità” tende a scartare. Di quante operose cecità sono impastate le nostre immagini del mondo? Quelle che ci fanno sentire in un modo piuttosto che in un altro? Che ci fanno di volta in volta comprendere oppure fraintendere ciò che ci circonda? La ricerca continua. (3)

 

1. Una vena sublime – alla lettera “che sale obliquamente”, dall’unione di sub, “sotto”, e limus, “obliquo” – è riconoscibile nel video Meccanismi di difesa (2012). ombre di un cielo nuvoloso scorrono veloci sul costone di una montagna, creando un sorprendente gioco di luci apparentemente indipendente dalla presenza granitica del paesaggio. il video è il primo di una trilogia a camera fissa di cui fanno parte anche Livello di soglia (2012) e Sillogismo (2013).
2. A un’idea di sconfinamento può anche essere ricondotto il progetto Paesaggio alle spalle (2012), un lavoro di trascrizione grafica delle linee del paesaggio colte attraverso il loro specchiarsi su una superficie riflettente incisa dall’arti- sta. in questo caso lo sconfinamento è rispetto alla visione frontale, a cui nel quadro si sostituisce una visione laterale, imperfetta ma non meno ambigua di quella canonica.
3. I concetti di “vertigine” e di “operosa cecità”, così come alcuni quesiti, più o meno letteralmente trasferiti nel testo, sono presi in prestito da Sergio Manghi, La conoscenza ecologica. Attualità di Gregory Bateson, Raffaello Cortina editore, Milano 2004. i riferimenti alle teorie di Empedocle e Aristotele sono derivati dal testo di Gian Antonio Gilli, L’occhio delle origini, estratto dalla pubblicazione intitolata Membra vagavano (2013) e riproposto in questo catalogo. Le frasi attribuite a Laura Pugno sono ricavate sia da testi pubblicati, sia da dialoghi privati con l’artista.

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